BUON COMPLEANNO ITALIA: LE TAPPE LAMETINE DI GIUSEPPE GARIBALDI

BUON COMPLEANNO ITALIA: LE TAPPE LAMETINE DI GIUSEPPE GARIBALDI

Oggi,  in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia,  la figura di Giuseppe Garibaldi ha acquistato grande risonanza  per aver avuto “a torto”( come cercano di sostenere alcuni)  o a “ragione” un ruolo decisivo nell’unità del nostro Paese. Ma quale sono le sue tappe nel lametino? Ho fatto alcune ricerche su libri e riviste che parlano di quel periodo e da ciò emerge che Garibaldi si fermò in diversi luoghi  del circondario. Il 28 agosto del 1860, all’uscita di Monteleone ( che è l’attuale Vibo Valentia), ai soldati garibaldini che risalivano la Calabria  si unirono quelli della quindicesima divisione del Generale Turr,  i quali erano sbarcati qualche giorno prima in Sicilia. Insieme marciarono verso Pizzo Calabro e da qui giunsero a Curinga. Qui pernottò  a palazzo Bevacqua  (a ricordo vi è una lastra marmorea) dove  insieme a lui c’era anche la contessa  Martini della Torre. A Curinga avvenne il famoso “Accordo di Curinga”  e cioè l’incontro  tra Garibaldi ed il generale Stocco ed alcuni emissari dell’esercito borbonico per trattare una resa  che avvenne il giorno successivo a Soveria Mannelli quando le truppe borboniche, pur essendo  nettamente superiori  opposero una scarsissima resistenza ai valori garibaldini.

La mattina del 29 agosto si avviò verso S. Pietro a Maida per giungere poi a Maida, dove dal balcone di casa Farao rivolse un caloroso saluto e ringraziò tutti quanti per l’appoggio che si era data alla causa. Da Maida si incamminò verso Tiriolo.  Da questo paese il Generale Garibaldi inviò un messaggio a tutti i soldati che componevano l’esercito meridionale, la cui stanchezza fisica era ben nota data la incessante e sempre più veloce marcia su cui essi erano sottoposti: “ in ventiquattr’ore io spero saranno decise le sorti del nostro Paese e con quella ricompensa davvero io non dubito d’un ultimo sforzo dei miei bravi compagni d’armi “. Con questo messaggio Garibaldi pensava già al prossimo scontro con le truppe borboniche del generale Ghio, fuggite da Monteleone e in ritirata verso nord. Si era verso la fine d’agosto del 1860, e dopo la resa delle Brigate Melendez e Briganti, all’esercito napoletano non restavano che i 10.000 soldati di Ghio in ritirata verso Soveria Mannelli e i  2.000 uomini del Caldarelli, che in seguito siglò un patto di resa a Cosenza con il garibaldino Morelli.

Il 30 agosto a Soveria Mannelli le truppe garibaldine del generale Francesco Stocco ( coordinatore per la provincia di Catanzaro e poi per quella di Cosenza) , costrinsero alla resa il Generale Ghio. Quando Garibaldi arrivò a Soveria Mannelli, le alture, che da oriente e da settentrione la dominano, erano già occupate dai reggimenti calabresi di Stocco, e il Generale Ghio si allontanava senza combattere (oggi un monumento ricorda il famoso episodio). In pratica il Trono Borbonico cadeva, non tanto per l’assalto dei suoi nemici, quanto per l’abbandono dei suoi difensori. Garibaldi, la mattina del 31 agosto, dopo aver trascorso la notte in casa Sirianni si avviò in direzione della località Agrifoglio, dove nella casa rustica di Donato Morelli dettò il famoso telegramma: “ Dite al mondo che ieri coi miei prodi calabresi feci abbassare le armi a diecimila soldati comandati dal generale Ghio. Il trofeo della resa fu dodici cannoni da campo, diecimila fucili, trecento cavalli, un numero poco minore di muli e immenso materiale da guerra. Trasmettete a Napoli e dovunque la lieta novella”.

Per quanto riguarda invece il legame all’impresa garibaldina di eventuali feroletani e pianopoletani riporto quanto già detto in precedenza in un altro articolo. I due personaggi legati  in un certo senso a questo evento sono uno originario, da parte della madre, di Feroleto Antico e l’altro invece sacerdote di Pianopoli. Il primo di questi è  Raffaele Carbonari , nato a Catanzaro il 21 novembre del 1812 da Domenico e da Artemisia Torcia di Feroleto Antico. I Torcia sono una famiglia originaria di Serrastretta   giunta a Feroleto Antico verso la fine del 1700 in quanto uno di loro, don Antonio Torcia,  sposò una donna del posto appartenente alla famiglia Aiello. Questo ebbe due figli ed uno di loro  sposò una signora di Monteleone ( l’attuale Vibo) e stabilì la sua dimora  nel casino del fondo Bonocampo, per intenderci quello che fu acquistato successivamente dai Comas.  Raffaele Carbonari era ingegnere, architetto e consigliere comunale. Partecipò ai moti  del 1848 e del 1850. Già nel 1850 fu preso di mira  dalla polizia  e dovette rifugiarsi  a Malta. A Torino incontrò Raffaele Poerio e da qui la decisione di partecipare all’ Unità d’Italia salpando da Quarto con i mille. Fu capitano del Genio, colonnello della riserva, cavaliere dell’ordine  della corona d’Italia. Virtuoso, illuminato patriota, stimato, dai concittadini, buon cristiano e benefattore ricevette per telegrafo la benedizione del Papa. Morì a Catanzaro  il primo luglio 1881.

Il prete Stefano Fioresta di Pianopoli invece  il 18 aprile del 1882 in una casetta  venne barbaramente assassinato a colpi di scure sulla testa. Egli dimorava  in solitudine  in contrada valle di Canna in un suo fondo di Pianopoli. Il prete era noto per aver partecipato  alle vicende garibaldine  come cappellano di marina. Si pensò prima a qualche vendetta d’onore  ma subito dopo  vennero arrestati  due suoi giovani nipoti che lo avrebbero ucciso per interesse. Il processo ai nipoti avvenne nel luglio del 1884 presso la corte d’Assise di Nicastro e uno fu condannato ai lavori forzati l’altro a dieci anni di carcere per complicità.

FRANCO FALVO

 

(Bibliografia: I mille in Calabria, a firma di Giuseppe Masi detto “Lo Zera” su Storicità;  Feroleto Antico nell’ottocento, quaderni feroletani a cura di Rodolfo Donato, pag. 342;  Gli itinerari in Calabria di Giuseppe Garibaldi a firma di Antonio Pileggi su Storicittà, aprile 2006, pag. 60; il Quotidiano della Calabria mercoledì 16 marzo 2011, Giuseppe Garibaldi a Curinga)

Franco Falvo

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