IL PRIMO EMIGRATO A RACCONTARCI LA SUA STORIA E’ DARIO MAMMOLITI CHE VIVE IN SVIZZERA

IL PRIMO EMIGRATO A RACCONTARCI LA SUA STORIA E’ DARIO MAMMOLITI CHE VIVE IN SVIZZERA

Ognuno di noi nel corso della propria vita si è trovato davanti a delle scelte che ne cambiano il percorso. Le mie scelte sono iniziate in tenera età. Quando ancora a Feroleto Antico frequentavo la quinta elementare, periodicamente ci faceva visita in classe un frate del convento di Nicastro e ci parlava spesso delle missioni in Africa. Quei racconti pregni di tanta umanità mi affascinavano tanto che, essendo io legato alla nostra Religione, desideravo di diventare a mia volta un Missionario. Ne parlai con mio padre, non era molto entusiasta dell’idea ma mi promise che si sarebbe informato. Lui lavorava in Svizzera e faceva ritorno al paese soltanto durante i mesi invernali. Caso volle che durante una visita pastorale del Vescovo Moietta, io servivo la santa messa, mio padre era anche presente e alla fine della funzione religiosa si avvicinò a Mons. Moietta e gli parlo’ del mio desiderio. Rimasero con la promessa che si sarebbero sentiti alla fine dell’anno scolastico per il mio inserimento in seminario. Purtroppo Mons Moietta morì il mese di aprile e così non se ne fece nulla. Tutti i miei familiari si erano trasferiti in Svizzera e a Feroleto ero rimasto solo per poter terminare la scuola media. Alla fine della seconda media, era il 1967, mia madre venne a Feroleto per le vacanze estive ed io ero contento ma non volevo più restare solo con la nonna e allora convinsi mia madre a portarmi con lei. Dovevamo partire dopo ferragosto per Zurigo e poi da qui mi sarei trasferito a Brescia, dove abitava mia sorella, per poter completare la scuola media e successivamente avrei dovuto decidere se continuare a studiare oppure se dovevo trovare un lavoro. Per me era tutto nuovo, nuovi amici, nuovi insegnanti e nuovo modo di vivere. Iniziai con entusiasmo la scuola finché davanti a me non si presento un nuovo bivio. Una mattina si presentò in aula la nuova prof di Italiano, mi notò subito e mi chiese di presentarmi e presentare il percorso scolastico che avevo fatto fino ad allora. Alla fine mi spiegò che era tutto regolare e che per lei io potevo ritenermi già bocciato nelle sue materie senza se e senza ma. Questo per me fu come una pugnalata, pensavo si trattasse di discriminazione tra nord e sud, ma seppi che la prof in questione non era Bresciana ma veniva dalla Sardegna. Seguì una settimana di frustrazione finché non decisi che io non sarei più andato a scuola e così fu. A mia sorella non dissi nulla dell’accaduto, mi giustificai dicendo che volevo andare a lavorare e che di studiare non ne avevo voglia. Fui chiamato dal Preside e mi recai in presidenza accompagnato da mia sorella, anche in quella occasione non dissi il vero motivo per cui non volevo studiare e così finirono i miei studi. Trovai lavoro in una falegnameria del paese, andavo molto d’accordo con il datore di lavoro e anche con i colleghi. Solo un ragazzo un po più grande di me si mostrava insolente nei miei confronti e continuava a chiamarmi *terrone”, finché un giorno non lo sopportai piu’ e gli sferrai un pugno sul muso. Questa mia reazione lo aveva cosi’ tanto impressionato che alla fine diventammo amici invitandomi tutte le domeniche ad andare a giocare a calcio nella sua squadra. Dopo un anno e mezzo si presento davanti a me un’ altro bivio. Mio fratello Pasquale aveva terminato la leva militare e si apprestava a rientrare in Svizzera. Si fermò qualche giorno da mia sorella e in quella occasione mi chiese se volevo andare a lavorare con lui in Svizzera. Accettai volentieri e mi promise che avrebbe chiesto al suo datore di lavoro se ci fosse stata la possibilità di un apprendistato per me. Quando ricevetti la risposta positiva, mi licenziai dalla ditta “Lorandi” e mi trasferii a Buelach. Nuova vita, nuove amicizie e nuove frustrazioni. Non parlavo tedesco e questo mi emarginava, così decisi di comprare una grammatica Italiano/Tedesco. Cominciai a studiarla e tutto orgoglioso, quando mi rivolgevo ai miei compagni apprendisti -Hans e Hans Jork – notai che ridevano alle mie spalle. Non capivo il perché finché un giorno mi dissero che con loro dovevo parlare in dialetto “zuritutsch” e non l’hoch Deutsch, cioè la lingua di Goethe. Un giorno litigai anche con loro. Al venerdì sera dovevamo pulire a fondo il laboratorio, questo era uno dei compiti di noi apprendisti, e un venerdì iniziai a pulire la mia parte mentre loro invece di pulire, si erano fermati a chiacchierare. Giunta  l’ora di andare via a muso duro pretendevano che io mi fermassi ad aiutarli a pulire; ovviamente mi rifiutai e questo mi costò anche il dovermi discolpare davanti al datore di lavoro il quale fu comprensibile con me rimproverando solo loro.

L’aria cominciava a diventare pesante e la nostalgia del mio paese si faceva sempre più forte. In quel periodo mi era arrivata la cartolina per la visita militare, mi presentai al Consolato di Zurigo e quando il funzionario mi vide, senza nessun preambolo mi disse che ero abile e arruolato e mi chiese soltanto se avessi avuto qualche preferenza nell’esercito. Si, volevo fare il paracadutista, gli dissi. La sua risposta fu che se volevo arruolarmi l’unica possibilità per me sarebbe stata o di fare due anni in marina o in alternativa potevo decidere di restare in Svizzera con la possibilità di recarmi in Italia solo due volte all’anno fino alla raggiunta età di trenta anni; trascorso questo periodo  avrei ricevuto il congedo militare  venivo esentato dall’ obbligo militare. Scelsi la seconda opzione.

La nostalgia del mio paese era una vera e propria canaglia. Venni a sapere che era stato bandito il concorso per entrare nel corpo di polizia, allora un sabato mattina mi alzai alle cinque per andare al Consolato e compilare i moduli per partecipare al concorso. Le mie aspettative erano grandi ma venni subito disilluso perché per fare la domanda era necessaria presentarla su carta da bollo che avrei potuto acquistare solo in Italia ed io non potevo in quel periodo in alcun modo procurarmela.

Così svanì anche quella possibilità. Nel frattempo, con l’organizzazione degli Italiani all’estero fu programmata una raccolta di firme per abbassare il termine di età per il congedo da 30 a 26 anni.

Ovunque ci fosse una qualche manifestazione Italiana, io ed altri amici andavamo a raccogliere le firme necessarie e cosi’ l’età militare fu abbassata da 30 a 26 anni.

Nel frattempo mi ero iscritto ad un corso serale organizzato dall’ECAP per conseguire la licenza di terza media che ottenni facilmente. Nel 1978 mi sono sposato con Candida e nel 1979 tanta era la voglia d’Italia che decidemmo di trasferirci in Canton Ticino, dove si parla italiano, con la prospettiva, vista la vicinanza a Como, di trasferirci definitivamente in Italia. Ma per vari motivi questa idea non si è mai concretizzata. A Zurigo eravamo attivi nella Colonia Libera Italiana, ci occupavamo dei problemi che incontravano gli Italiani all’estero con le autorità Svizzere e Italiane ed eravamo sempre in contatto con il Consolato ma una cosa non mi piaceva di tutto cio’:  l’ingerenza della politica partitica. Se eri di sinistra, ed io lo ero, venivi agevolato. Si avvicinavano le elezioni politiche e si intensificavano gli interventi di personaggi politici Italiani. Ad una di queste serate era presente l’onorevole G. Pajetta del partito comunista al quale, a fine intervento, gli feci una domanda riguardante un tema molto discusso in quel momento. In quella occasione culturale, organizzata dal consolato, era stato invitato anche il premio Nobel per la letteratura, Aleksandr Solgenicyn, per presentare il suo ultimo libro “Arcipelago Gulag”. La mia domanda a Pajetta riguardava proprio i Gulag, cioè, visto che si condannava con fermezza il nazifascismo, gli chiesi  quale fosse il suo pensiero riguardo ai Gulag comunisti che aveva provocato tanti morti. La sua risposta mi lasciò perplesso: “i Gulag e le deportazioni comuniste non erano mai esistite, erano tutte invenzioni politiche per screditare il partito comunista”. Da allora mi sono sempre rifiutato di votare per un partito che distorce palesemente la realtà dei fatti facendo affidamento alla presunta ignoranza dei migranti Italiani che per la maggior parte proveniva dai piccoli centri e dalle campagne del Sud Italia.

A quel tempo ancora non c’era la legge Tremaglia- votata nel 2001 e che dava il diritto di voto agli italiani all’estero-  e ci si recava in Italia a votare e quando si arrivava con il treno alla stazione di frontiera (Chiasso) regolarmente c’erano i militanti del partito comunista che ti davano un panino e una bibita se dichiaravi che avresti dato il voto al partito comunista. Io ho rifiutato quel modo di accaparrarsi i voti anche perché se affermavi di votare Democrazia Cristiana allora per te non c’era nulla da mangiare. E così mi sono allontanato sempre più dal mondo della politica. Nel frattempo a Bulach, insieme ad altri connazionali, abbiamo sentito l’esigenza di aiutare la seconda generazione che cominciava a frequentare le scuole Svizzere e che venivano discriminati, così abbiamo deciso di unire le forze e costituire un comitato scuola che si occupasse di questi problemi e di avere sempre più spesso contatti con i vertici delle scuole per risolvere i problemi riscontrati. Devo dire che siamo stati ascoltati e le cose sono migliorate.

…E se fossi diventato Missionario, e se fossi ritornato in Calabria ai primi sintomi di nostalgia, e se avessi avuto la volontà di entrare nel corpo di polizia, e se fossi entrato in politica seguendo il partito comunista. Se, se, se,…..oggi non sarei quello che sono e son contento delle scelte che ho fatto, son contento di non dover mentire per raggiungere determinati traguardi. In poche parole, mi piace la libertà di pensiero e di parola, la libertà di potermi relazionare con le persone senza la barriera partitocratica, con semplicità e soprattutto con SINCERITÀ.

                                                                                                    Dario Mammoliti

 

Franco Falvo

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